InpgiScaduti i termini per la presentazione delle candidature per le elezioni del febbraio 2016 per l’Inpgi, sono 236 i giornalisti che hanno presentato la propria candidatura per i vari organismi statutari.
Tra di essi, anche io ho espresso la mia volontà di candidarmi, come consigliere del Comitato amministratore della Gestione separata per i freelance e i parasubordinati (il cosiddetto “Inpgi 2”), chiedendo un consenso a colleghe e colleghi di tutta Italia in virtù del lavoro svolto come responsabile di questo sito di informazione e consulenza, come curatore di uno sportello aperto a tutti a Roma sulle tematiche del lavoro e del welfare e anche sulla base delle esperienze e dei confronti maturati girando l’Italia per conoscere tutte le sfaccettature delle realtà territoriali e rispondere alle richieste di approfondimenti sulle tematiche professionali.
Sono consapevole che il confronto elettorale sull’Inpgi sarà soprattutto basato sul rapporto tra la solida realtà dei fatti e delle competenze da una parte, e dall’altra parte la demagogia che pervade oggi, purtroppo, ogni aspetto della vita sociale del nostro Paese, dove pur di ottenere facilmente consensi si lanciano spesso slogan senza che le affermazioni siano sostenute da basi reali.
E’ questo il tema affrontato nell’editoriale dell’ultimo numero della rivista “Inpgi comunicazione” dal Presidente uscente, Andrea Camporese, che fa una completa e attenta analisi della situazione dell’Istituto: una base di confronto che penso sia utile approfondire nel momento in cui ci si troverà a decidere a chi, a febbraio, affidare le sorti dell’Ente che assicura sostegno e welfare a tutte le giornaliste e tutti i giornalisti in Italia e che consiglio vivamente di leggere.

Massimo Marciano
Responsabile di “Giornalisti per la riforma della professione – Gruppo Giorgio Bonelli”

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Realtà e demagogia. Per un Inpgi solido, solidale, professionale

Andrea Camporese, presidente Inpgi

Andrea Camporese, presidente Inpgi

di Andrea Camporese*

Finisce l’anno, finisce il mandato degli amministratori dell’Ente, si va al voto. Le campagne elettorali debbono essere frizzanti, ma se diventano un tutti contro tutti, una marmellata senza senso, divengono demagogia. E la demagogia è decisamente contro il bene comune. Per poter riportare il dibattito dentro la sfera del possibile, al netto delle critiche che sono sempre legittime, è necessario circoscrivere il campo da gioco. Occorre chiarire metodo, vincoli, contesto, permettere un confronto nel merito che potrebbe divenire molto importante per il futuro della protezione sociale di categoria. Servono, quindi, tre chiarimenti di fondo. Per molti saranno noti, per qualcuno ignorarli è molto comodo. Primo chiarimento. L’Inpgi esiste e si muove in un reticolo legislativo che nel tempo si è stratificato. Viene controllato da molte fonti pubbliche, a partire dai Ministeri dell’Economia e del Lavoro, in termini di investimenti, di prestazioni, di contributi e di ammortizzazione sociale. Le autonome decisioni sono sottoposte al vaglio dei controllori, non possono per principio essere balzane o completamente asistemiche, in alcuni casi debbono obbligatoriamente assorbire normative di natura generale. L’idea di un Istituto, descritta da qualche persona o ignorante o pesantemente in malafede, che nel segreto delle sue stanze elabora teorie malsane o fantasiose è semplicemente ridicola. Così come un Consiglio di Amministrazione, che include, oltre agli eletti, Fieg, Fnsi, Presidenza del Consiglio e Ministero del Lavoro e approva oltre il 95 per cento delle delibere all’unanimità, va rispettato per un lavoro serio e responsabile portato avanti in un quadro economico e settoriale drammaticamente negativo. Certo le differenze di opinione non sono mancate, ovviamente, così come il rispetto per colleghi che si sono presentati ad una democratica consultazione, sono stati eletti e hanno seriamente lavorato, non andrebbe mai perduto. Secondo chiarimento. La cifra generale dell’attività svolta sta nella difesa di una qualità e una quantità di prestazioni che non hanno paragoni nell’intero sistema pubblico e privato. La riforma, sottoposta ora al vaglio dei Ministeri vigilanti, ha mantenuto specificità e condizioni di miglior favore di cui si deve essere orgogliosi. Certo si può discutere su come si doveva attuare un piano graduale di rientro delle passività (non certo dovute all’Inpgi ma ad una marea di pensionamenti, prepensionamenti insieme a migliaia di colleghi che ancora oggi usufruiscono di cassa integrazione, solidarietà e disoccupazione), ma non si può discutere sul fatto che l’intervento andava fatto. Era necessario e ineludibile, la lettura dei numeri di bilancio pubblicati in questo numero lo rende ancor più chiaro. E’ stato fatto solo dopo aver messo in atto una serie di misure contenitive non banali (aumento delle aliquote a carico degli editori e aumento graduale dell’età pensionabile delle donne) e stimoli (sgravi per le assunzioni a tempo indeterminato per tre anni, negli ultimi tempi a carico di Inpgi, ultimamente a carico dello Stato) solo per citare le maggiori. Dietro l’angolo non c’è il passaggio all’Inps, come qualcuno testardamente continua a sostenere, c’è solo un obbligo di legge al riequilibrio prospettico dei conti in assenza del quale può essere nominato un commissario governativo. Inutile giocare con le parole, è inutile pensare che debba pagare sempre qualcun altro: i sistemi si reggono prevedendo e chiamando tutte le forze ad un contributo. Le polemiche sul prelievo di solidarietà, o di crisi se preferiamo, a carico dei pensionati sono ovviamente sostenibili solo a patto che si chiariscano alcuni concetti. Nessuno ha mai messo in discussione i diritti acquisiti e la loro radice. Al contrario si è deciso di chiedere un sacrificio (mediamente intorno ai 20 euro netti al mese) anche per mantenere condizioni di miglior favore che i giovani iscritti non potranno mai vedersi applicate. Il sacrificio è temporaneo, proporzionale al reddito, sostenibile in rapporto alla pensione media erogata (oltre 3 mila euro netti al mese), diretto al sostegno della previdenza e non alla fiscalità generale. Questi principi sono stati richiamati più volte dalla Corte Costituzionale come elementi necessari. Il Paese discute di ben altre ipotesi, direttamente e matematicamente connesse al rapporto tra versato e percepito in relazione alla durata della vita media, che porterebbero in molti casi a tagli drastici e molto pesanti delle prestazioni in essere. Non ho mai creduto che le generazioni dei padri debbano pagare le difficoltà dei figli, ma non credo nemmeno che ai nostri giovani si debba dire semplicemente “sei nato nel momento sbagliato”, questo è irresponsabile, oltre che egoistico. Terzo chiarimento. La struttura amministrativa dell’Inpgi, dalla Direzione Generale all’ultimo in grado, è composta da persone di straordinaria qualità e dedizione. E’ la stessa, numericamente, di oltre vent’anni fa, quando la gestione separata non esisteva e ha sopportato in silenzio il carico di lavoro di questi anni con dimensioni assolutamente senza precedenti. Nel lasciare l’Inpgi dopo otto anni a loro va il mio sentito ringraziamento, d’altro canto sostanziato da centinaia di lettere di colleghi che con loro hanno avuto a che fare. Mettere in discussione la serietà e la terzietà della struttura amministrativa, come qualche singola urlante voce ha fatto, è essere privi di responsabilità, demagogici, biecamente elettoralistici. La qualità dei nostri uffici è universalmente riconosciuta in sede istituzionale e ministeriale e ha ottenuto, anche recentemente, attestati pubblici di stima. Il Collegio dei Sindaci, composto da giornalisti e da designati governativi di alto profilo, ha lavorato molto bene, ha controllato e spesso ci ha aiutato a migliorare la nostra azione.

Trasparenza

Anche su questo tema si è fatta molta confusione, per usare un eufemismo. L’Istituto non nasconde proprio nulla, rende pubblici i documenti previsti da un Regolamento approvato alcuni anni fa dalla Presidenza del Consiglio. Tutto si può migliorare, come sempre, come si è fatto approvando due codici, frutto del confronto con Anac, dove si chiariscono meglio una serie di profili, compresi quelli di conflitto di interessi. Sono tali e tanti i vagli subiti dall’Inpgi che solo una mente votata alla dietrologia può pensare che si nascondano atti e decisioni, tra l’altro assunte in un Cda dove gli stessi rappresentati Governativi votano.

Futuro

L’Inpgi attraversa una fase delicata, ma non è fallito, non fallirà. Perdere più del 15 per cento della forza lavoro contribuente e vedere, allo stesso tempo crescere l’uso degli ammortizzatori sociali del 300 per cento ha rappresentato una grande prova. L’esplicarsi di una riforma auspicabilmente approvata, l’efficienza di un patrimonio di oltre 2 miliardi di euro, la crescita di un mercato del lavoro fortemente depresso, possono rappresentare le chiavi fondamentali del riequilibrio dei conti. Le quasi 500 assunzioni sgravate registrate a fine anno sono un bel segnale, anche se insufficiente. Guadiamo a questo nel confrontarci elettoralmente, guardiamo alla responsabilità condivisa, alle idee nel merito, anche radicalmente diverse, al confronto con le Parti Sociali, al nostro stare nel sistema generale in una modernità così radicalmente cambiata. Tutto ciò è possibile lavorando con determinazione, professionalità e coraggio. Per quanto mi riguarda saluto e ringrazio dell’onore che mi è stato conferito per otto anni. Dopo un incarico di questo prestigio e responsabilità è giusto che non ricopra alcun ruolo all’interno della categoria in futuro. I cicli si devono compiere e chiudere. Ho molto sofferto dell’inchiesta giudiziaria che mi ha coinvolto. Troppe parole servirebbero a rispondere alla sequenza di falsità, infamie, imprecisioni, diffamazioni che ho subito. Attendo con serenità l’esito di un procedimento che va rispettato e avrà i suoi tempi. Provo pena e profonda preoccupazione per un certo grado di barbarie e di scadimento culturale al quale una parte minoritaria della categoria è giunta. Chi vuole distruggere tutto non ha mai costruito nulla nella vita.

*Presidente Inpgi

Inpgi: elezioni a febbraio, un confronto tra realtà e demagogia
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