Un giusto riconoscimento a una giornalista sempre in prima fila nel raccontare la vita della nostra città: non solo quella “ufficiale” nelle istituzioni, ma soprattutto quella dei quartieri, quella di mille vite di persone comuni, alle prese con la realtà di tutti i giorni. L’Associazione stampa romana esprime apprezzamento e soddisfazione per la decisione del Comune di Roma di intitolare la sala delle interviste in Campidoglio alla collega Cynthia D’Ulizia, prematuramente scomparsa.
Cynthia, direttrice di Radio Città Aperta e prima ancora per tanti anni cronista della stessa emittente, è stata nel Direttivo dell’Asr e membro della Commissione per l’emittenza locale della Federazione nazionale della stampa. Ha dedicato la sua attività sindacale alla difesa della libertà e del pluralismo dell’informazione, intesi soprattutto come tutela dei tantissimi giornalisti precari, che rappresentano un nucleo fondamentale del sistema dell’informazione italiana. Ha contribuito anche all’elaborazione delle proposte del sindacato e dell’Ordine dei giornalisti, finora purtroppo mai raccolte dal Parlamento, per la riforma dell’accesso alla professione.
Una giornalista che ha dato alla sua opera “militante” il significato di un impegno concreto nel raccontare, con parole comprensibili a tutti, la cronaca quotidiana e le vicende politiche di Roma e dell’Italia, con la sua presenza in ogni luogo dove vi fosse qualcosa da raccontare e la sua attività al fianco di ognuno, collega o cittadino, avesse necessità di un sostegno.
Fonte: comunicato stampa dell’Associazione stampa romana
Per Cynthia non solo il suo lavoro, ma tutta la sua vita erano dedicati al suo impegno sociale, per una informazione libera e per la tutela della dignità e dei diritti dei giornalisti meno garantiti. Per questo, l’unica “notizia” che nella sua carriera non ha reso pubblica è stata quella del suo male, che ce l’ha portata via troppo presto. All’improvviso, impreparati e sconcertati.
La sua battaglia personale per la vita l’ha combattuta fino all’ultimo, come le altre mille nelle quali si è impegnata, ma in silenzio, perché la sua vicenda individuale non potesse intaccare l’animo di chi lavorava al suo fianco, nella sua amatissima Radio Città Aperta e nel suo quotidiano impegno sindacale. E anche perché non dovesse rallentare né il suo impegno professionale nel raccontare ciò che accadeva a Roma, in Campidoglio e nei quartieri, e in Italia, né il suo lavoro nel sindacato.
Da giovane cronista di provincia, quando mi sono affacciato per la prima volta nelle assemblee sindacali romane, Cynthia è stato uno dei primi e più fecondi incontri che ho avuto la fortuna di fare, grazie al gruppo di“Riforma dell’accesso alla professione” che un lottatore di lungo corso come Giorgio Bonelli aveva messo in piedi con un entusiasmo da adolescente, ad onta della sua anagrafe e della sua lunga esperienza professionale, vissuta fino al suo ultimo giorno da giornalista “sfigato”, come diceva scherzosamente.
E’ stato naturale, con Cynthia, ritrovarsi in quel gruppo di giovani con tante idee e tanta voglia di “scombinare” le carte in un mondo professionale che ci appariva troppo ingessato e che non poche volte abbiamo chiamato con rabbia “casta”, nei nostri discorsi e nelle nostre appassionate riunioni serali, che definivamo scherzosamente “carbonare” perché condotte in ogni luogo trovassimo ospitalità, alla fine delle nostre giornate di lavoro.
Cynthia non aveva mai sentito il bisogno di avere il “mitico” tesserino dell’Ordine per essere una giornalista vera, con la schiena dritta e la voglia di scoprire cosa si nascondeva dietro ogni porta chiusa: caratteristiche oggi troppo spesso dimenticate anche da alcuni fra i più noti esponenti della categoria. La convinzione che non possa essere l’adesione a un organismo nato già vecchio quasi mezzo secolo fa, e mai riformato, a fare di una persona un giornalista, con Cynthia l’abbiamo sempre condivisa, anche quando abbiamo sostenuto l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti.
Fu Giorgio, che pure ormai quasi vent’anni fa coniò la campagna “Trent’anni di dis-Ordine dei giornalisti”, a convincere Cynthia a presentare i documenti per iscriversi all’elenco dei pubblicisti con un ragionamento semplice ma incisivo, com’era sua abitudine con ognuno di noi giovani “scavezzacollo”. «Se vogliamo difendere adeguatamente i precari e i più deboli – le disse – dobbiamo impegnarci in blocco in tutti gli organismi di categoria, a cominciare dal sindacato. Ma per iscriversi al sindacato, occorre prima essere iscritti all’Ordine: il passaggio sotto quelle ‘forche caudine’ è obbligato. In democrazia conta il consenso: per cambiare questo mondo dobbiamo essere in tanti a volerlo e se non ci impegniamo noi per primi, nessuno potrà mai farlo».
Cynthia aveva tutte le carte in regola, anche dal mero punto di vista delle formalità di legge, per chiedere e ottenere dall’Ordine il riconoscimento necessario per diventare giornalista professionista. Non l’ha mai fatto, perché nella sua condizione professionale si sentiva più vicina a quei precari che aveva tante volte difeso con parole e azioni.
Massimo Marciano