Riceviamo e volentieri (ma con un nodo alla gola…) pubblichiamo:
di Daniele Priori (*)
A soli 47 anni se n’è andato il giornalista Pino De Rosa.
E’ morto, lasciando la moglie e il figlioletto Francesco, un collega che conoscevo da quando ero adolescente.
Fidatissimo cronista dell’Ansa dai Castelli Romani, autore di qualche pezzo di inchiesta per le pagine locali e nazionali di molti quotidiani, fu a lungo collaboratore di punta della “nera” per Oggi Castelli, quotidiano del gruppo Ciarrapico presso il quale abbiamo lavorato insieme dal 1999 al 2003, i cui ricordi, quasi sempre un misto di spassionati rimpianti, ci hanno unito in qualche rara chiacchiera successiva, fino al 2009, quando, a sorpresa, me lo ritrovai in prima fila fra i tanti fotoreporter, quasi tutti abruzzesi però, che raggiunsero Pineto, in provincia, di Teramo, dove, simbolicamente, io e il mio compagno convolammo a nozze, ricordando la figura di Massimo Consoli. E’ per questo che, stanotte, vi dico che dobbiamo piangere anche un amico della comunità gay italiana.
Pino era un reporter ruvido. Dal carattere pressoché intrattabile, come le parole dei suoi brevissimi pezzi in presa diretta, che non scorrevano quasi mai ed erano puntualmente da ribattere e chiudere bene. Perché prima della fine del dettato Pino ti aveva già attaccato il telefono, puntualmente senza salutare.
Le sue foto, tantissime e sempre precise, al punto giusto, erano prepotenti. Sempre dai punti migliori, possenti come la sua corporatura cinghialesca che spiccava sempre in prima fila negli incidenti e nelle manifestazioni di ogni tipo.
Se n’è andato dopo che, in un passato recente, tre anni fa se non erro, si era ammalato gravemente, rischiando già allora la vita. Poi era guarito. Gli avevo mandato un sms e non avevo avuto risposta fino a quando, era la Sagra dell’Uva del 2008 che coincise con la firma, anche a Marino, dell’ordinanza pilota anti-prostituzione, lo rividi in campo con un piacere che non mi venne meno dopo l’ennesima brutta quanto futile litigata alla quale, col suo caratteraccio, mi costrinse e dove nulla, nonostante la mia amarezza, ancora una volta, impedì a Pino di chiudermi il telefono,lasciandomi quella volta, se possibile, ancor più incazzato. Ma a lui non interessò molto. Perché era fatto così.
Non ci parlammo fino al primissimo autunno del 2009, un anno dopo, quando, il 26 settembre, con mia massima sorpresa, mi ritrovai il profilo ingombrante di Pino De Rosa fra i fotografi intenti a scattare le foto del mio matrimonio. Nulla, davvero nulla, ci impedii, forse perché eravamo tutti e due felicemente sorpresi, di salutarci con affetto.
Oggi, passati quasi due anni, mi rimane il rimpianto di non essere riuscito a telefonargli per farmi inviare quegli scatti. Confidavo, però, di ribeccarlo chissà quante volte, invece…
Spero, almeno, che la terra sia lieve alla sua vita già provata ma ancora troppo giovane per salutare il mondo, tanto da lasciare quell’amaro classico e purtroppo noto e ancora drammaticamente fresco per le bocche di noi cronisti dei Castelli Romani, costretti a dire addio a Pino quando ancora non abbiamo finito le lacrime per salutare il giovane direttore Gianni Tomeo, scomparso pochi anni fa a 45 anni o poco più. Nonostante tutto, nessuno più di noi sa che bisogna andare avanti e, che ci piaccia o meno, continuare a scrivere. Anche per onorare queste vite strappate che, certamente, mai e poi mai, di fronte a nulla, avrebbero gettato il taccuino, la passione malpagata ma più grande delle loro troppo brevi esistenze.
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*Uno dei tanti cronisti dei Castelli che da Pino hanno imparato qualcosa e segretario nazionale dell’associazione GayLib